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Farmacologia degli analgesici

 

Alberto E. Panerai

Dipartimento di Farmacologia Chemioterapia e Tossicologia medica

Università di Milano

Via Vanvitelli 32, 20129, Milano

 


Analgesici centrali      Avvia presentazione multimediale      Analgesici periferici


 

Quando pensiamo agli analgesici, pensiamo agli antiinfiammatori non steroidei (FANS) ed agli oppiacei e poco più. In realtà gli analgesici, soprattutto quelli centrali sono molti più di quanti noi siamo abituati a considerarne, taluni forse poco conosciuti, riconosciuti tali o accettati dal medico di base, spesso a causa dello iato esistente fra il terapista del dolore e la medicina di base.

 

Gli analgesici “centrali”

Quando si parla di analgesici centrali, il pensiero va subito alla morfina, e questa è vista come il farmaco estremo, il farmaco dell’ultima sponda, il farmaco del malato di cancro.

Diciamo innanzitutto che gli oppiacei non sono solo la morfina ed il metadone, ma molti di più ed il loro uso potrebbe essere ormai considerato in una serie di situazioni non così drammatiche e finali come il dolore del malato terminale.

In secondo luogo, analgesici centrali sono anche alcuni antidepressivi, qualche anticonvulsivante ed il paracetamolo.

Il Paracetamolo

Il paracetamolo, pur bloccando come i FANS la sintesi di prostaglandine, non è attivo in periferia, nel sito di infiammazione, bensì solo centralmente. Almeno due teorie sono state avanzate per spiegare questo effetto. Una parte dalla osservazione che nei tessuti infiammati il farmaco può essere facilmente ossidato e pertanto inattivato; la seconda invece invoca una maggiore affinità del paracetamolo per la cicloossigenasi cerebrale.

Il paracetamolo ha un discreto effetto analgesico. Seppure non abbia gli effetti collaterali classici dei FANS, il paracetamolo non è certo scevro da problemi. La epatotossicità del paracetamolo è nota da tempo, ma deve essere rivista in considerazione dell’uso che si fa di questo farmaco e soprattutto delle dosi, della durata del trattamento, dei soggetti cui viene somministrato e delle associazioni in cui viene usato. Una cosa importante che va ribadita è che il paracetamolo è analgesico, ma non antiinfiammatorio e quindi non può essere sostituito ai classici FANS quando l’infiammazione è l’obbiettivo primo del trattamento.

Gli Antidepressivi

Gli antidepressivi triciclici hanno fatto il loro ingresso in terapia del dolore grazie ad un assioma poi rivelatosi errato: depressione uguale dolore e dolore uguale depressione. Ormai sappiamo che gli antidepressivi triciclici hanno un effetto analgesico intrinseco, dimostrato dal fatto che questi modulano il dolore in tempi molto brevi (ore), mentre quasi tre settimane di trattamento sono necessarie per evidenziare il loro effetto sulla depressione e dall’osservazione che gli antidepressivi inducono una modulazione del dolore anche in pazienti non depressi.

Come fanno gli antidepressivi triciclici a modulare il dolore? Probabilmente vi concorre più di un meccanismo. Sia la serotonina che la noradrenalina sono trasmettitori considerati importanti per le vie discendenti inibitorie che modulano a livello spinale la trasmissione del dolore. La serotonina, inoltre, è necessaria per l’effetto analgesico degli oppiacei (in assenza di serotonina, gli oppiacei non funzionano). L’effetto antinocicettivo dei nuovi antidepressivi ad alta selettività per il blocco della ricaptazione di serotonina (es. fluoxetina, paroxetina) o della noradrenalina (es. venlafaxina) sembra minore di quello dei vecchi triciclici che bloccavano la ricaptazione sia di serotonina che di noradrenalina: quasi ad indicare che il sinergismo dei due sistemi trasmettitoriali è importante per la modulazione inibitoria del dolore.

Gli antidepressivi triciclici hanno una loro nicchia precisa di impiego: nel dolore di origine neuropatica. Possono anche essere utilizzati per potenziare l’effetto analgesico della morfina, ma questo impiego va attentamente valutato alla luce dei loro effetti collaterali che vengono ad aggiungersi a quelli dell’oppiaceo. Potranno ad esempio essere associati quando nel dolore da cancro si riconosca una componente neuropatica per compressione o lesione di tessuto nervoso.

Gli Anticonvulsivanti

Diversi anticonvulsivanti, con meccanismi di azione differenti, sono attivi nella modulazione del dolore. Il più noto è probabilmente la carbamazepina. Questo farmaco ha quasi sicuramente più di un meccanismo di azione e non appare chiaramente evidente quale sia quello maggiormente coinvolto nel suo effetto antinocicettivo. Sicuramente la carbamazepina modula i canali del sodio e pertanto inibisce la formazione e propagazione del potenziale di azione e questo dato bene armonizza con recenti teorie sul ruolo dei canali del Na+ nella modulazione del dolore. Una sua interazione con i recettori purinergici e la adenosina è stata anche postulata. La carbamazepina è attiva nel dolore neuropatico e soprattutto nel dolore trigeminale.

Un altro anticonvulsivante, la gabapentina, sembra avere una buona efficacia nel controllo del dolore di origine neuropatica. Del suo meccanismo di azione possiamo solo dire che si sono scoperti recettori centrali, non GABA, per questo farmaco, ma non molto di più.

È interessante ricordare a questo punto che nessun farmaco attivo sul recettore GABAA sembra avere un ruolo significativo nella modulazione del dolore.

I Bloccanti degli Amminoacidi eccitatori

La lamotrigina, che interagisce con effetto inibitorio con la trasmissione amminoacidergica ed in particolare del Glutammato, è stata utilizzata, con risultati ancora poco certi, nella nevralgia del trigemino ed in altre forme di dolore di origine neuropatica.

Altri due farmaci che sembrano interagire con il sistema glutammatergico attraverso il blocco del recettore NMDA sono il destrometorfano ed il metadone. Tutti e due questi oppiacei sono tuttavia poco specifici in questo effetto e scarsamente potenti. Il loro impiego clinico nel dolore neuropatico ha fornito per ora dati abbastanza contrastanti.

Un farmaco noto da molti anni del quale solo di recente l’attività analgesica è stata messa in relazione anche al suo effetto su questo sistema trasmettitoriale è la ketamina. Questo farmaco, utilizzato soprattutto in anestesia, è tuttavia noto per i suoi effetti disforici che ne limitano l’impiego a casi molto particolari ed in ambito specialistico.

In genere si può affermare che l’impiego di farmaci che interferiscano con i sistemi amminoacidergici eccitatori sia da rimandare a quando si avranno farmaci altamente specifici per le sottoclassi recettoriali, con particolare attenzione ai recettori metabotropi.

Gli Oppiacei

La morfina resta il punto di riferimento di ogni farmaco oppiaceo. La morfina esercita tutti gli effetti tipici dei farmaci oppiacei: analgesia, depressione respiratoria, nausea, vomito, modulazione endocrina, antitosse, rallentamento del transito intestinale, effetti sul sistema immunitario. La durata di azione della morfina è di circa 4 ore; sono anche disponibili formulazioni a lento rilascio che ne portano la durata di azione a 8 ore. A questo proposito bisogna ricordare che le compresse a lento rilascio non vanno rotte per frazionare la dose, perchè in questo modo si perdono i vantaggi di questa formulazione.

Si è molto discusso dell’impiego dell’eroina in terapia del dolore. L’eroina è il derivato diacetilato della morfina. La modifica strutturale ne impedisce il legame diretto al recettore oppiaceo, ma la rende molto più liposolubile e di conseguenza il passaggio della barriera ematoencefalica è molto rapido. Nel cervello la eroina è deacetilata a morfina e come tale agisce. In conclusione, l’eroina funziona perchè trasformata in morfina e su questa avrebbe il solo vantaggio di un più rapido inizio di azione.

La codeina, è circa dieci volte meno potente della morfina, ma ne condivide tutti gli effetti. Rispetto alla morfina, la codeina ha il vantaggio di essere bene assorbita per via orale.

L’ossicodone è un derivato della codeina che dimostra una potenza simile alla morfina.

Il tramadolo è un farmaco che può essere considerato un derivato della codeina. Questo farmaco ha alcune caratteristiche particolari. Infatti, è un debole agonista del recettore oppiaceo µ, ma ha anche la capacità di bloccare la ricaptazione di serotonina e noradrenalina come i classici antidepressivi triciclici. Il tramadolo ha di base un effetto analgesico comparabile a quello della codeina, ma accompagnato da effetti riconducibili a quelli degli antidepressivi triciclici, con il potenziamento delle vie serotononergica e noradrenergica. Questo particolare meccanismo di azione potrebbe essere alla base di alcune sue caratteristiche, come la minore tendenza alla depressione respiratoria, la stimolazione del sistema immunitario e la scarsa tendenza alla tolleranza.

La buprenorfina è un derivato della tebaina, caratterizzato da una potenza superiore a quella della morfina ed è bene assorbita per via orale. La buprenorfina ha un importante limite rappresentato dalla sua tendenza ad indurre fenomeni allucinatori che impediscono di utilizzare appieno le sue qualità analgesiche.

La meperidina (o petidina) è un oppiaceo sintetico che, rispetto alla morfina, non induce la contrazione dello sfintere di Oddi; in compenso sembra indurre effetti eccitatori quando somministrata insieme a farmaci che aumentano il tono aminergico, ad esempio con gli anti-MAO.

Derivato della meperidina è il fentanyl, che è un farmaco dotato di una notevole potenza analgesica, ma una breve durata di azione (circa 20 minuti). Per questa ragione viene ora proposto in una formulazione transdermica a lento rilascio.

Altro derivato della meperidina è il remifentanil, con una durata di azione di circa un minuto e per questo molto apprezzato dagli anestesisti, che lo usano in infusione, perchè nel post-operatorio, alla sospensione dell’infusione, non si osserva depressione respiratoria. La rapidità di azione del remifentanil è dovuta al fatto che è metabolizzato dalle esterasi ematiche.

Il metadone ha avuto vita difficile come analgesico e la sua fama è soprattutto legata al suo impiego nella disassuefazione dei tossicodipendenti. Il metadone ha una durata di azione di 8 ore circa ed ha una ottima biodisponibilità se somministrato per via orale. Si pensava che morfina e metadone avessero la stessa potenza analgesica, ma gli studi più recenti indicano che il metadone è 6/7 volte più potente della morfina e questo dato è importante nel caso i due farmaci debbano essere reciprocamente sostituiti. Una particolarità del metadone è il suo alto legame alle proteine, che ne condiziona le modalità di somministrazione e la cinetica, infatti la quota legata alle proteine si comporta come una riserva, una specie di deposito a lento rilascio. Attualmente, il metadone sta trovando un impiego sempre più comune nella terapia del dolore cronico anche a domicilio e nel dolore post-operatorio.

Il destropropossifene è un analgesico molto più debole del metadone, di potenza paragonabile a quella della codeina, caratterizzato però dalla stessa lunga durata di azione del metadone; è generalmente usato in associazione ai FANS.

Gli effetti degli oppiacei

Il principale effetto terapeutico degli oppiacei è l'analgesia, che si esercita ad almeno tre livelli nel sistema nervoso centrale: 1) spinale con il blocco presinaptico della neurotrasmissione sulle afferenze primarie alle corna posteriori del midollo; 2) con la stimolazione a livello del grigio periacqueduttale del Nucleo Rafe Magno e da questo di vie inibitorie discendenti serotoninergiche e noradrenergiche; 3) con la modulazione affettiva della percezione del dolore.

Recentemente è stato dimostrato anche un effetto analgesico periferico degli oppiacei in tessuti infiammati, aprendo la via al trattamento topico, ad es. intraarticolare.

L’effetto più temuto negli analgesici oppiacei è la depressione respiratoria, tipica causa di morte da sovradosaggio acuto di oppiacei nei tossicodipendenti, mentre è rara e non rappresenta un pericolo nella terapia cronica poiché va incontro rapidamente a tolleranza ed è difficile che si verifichino grossolani errori di dosaggio.

Il più grave degli effetti degli oppiacei è quello sulla muscolatura liscia e sul transito intestinale. Questo effetto conduce ad un rallentamento del transito e di conseguenza viene favorito il riassorbimento di liquidi e la formazione di masse fecali di difficile evacuazione. La gravità del fenomeno risiede nel fatto che questo effetto non va incontro a tolleranza. Per risolvere questo problema è stato recentemente proposto l'uso del naloxone per via orale che, essendo per questa via totalmente inattivato nel primo passaggio dal fegato, svolge il suo effetto periferico di antagonismo sull'intestino senza modificare l'analgesia perchè non raggiunge il SNC.

Tolleranza e dipendenza possono essere considerati, nella terapia del dolore, “falsi” problemi. Come si è accennato in precedenza, molti degli effetti dei farmaci oppiacei e soprattutto quelli che ne condizionano l'impiego terapeutico, come la analgesia, vanno incontro a tolleranza e quindi si richiede un continuo aumento delle dosi per ottenere gli effetti desiderati. Il secondo fenomeno che accompagna la somministrazione cronica di oppiacei è la sindrome di astinenza che si verifica alla loro sospensione. Il problema della tolleranza non si pone nel trattamento del paziente terminale, proprio perchè il trattamento, per quanto prolungato, ha una durata limitata nel tempo e quindi si possono liberamente adeguare le dosi. Nel trattamento del dolore non da cancro, possiamo distinguere il trattamento del dolore acuto, ove poche somministrazioni non fanno a tempo a sviluppare la tolleranza, ed il dolore cronico non oncologico. In questo ultimo caso il discorso è attualmente molto aperto. L’uso degli oppiacei nel dolore cronico non oncologico è recente e per questo la letteratura non è ancora molto ampia, ma sembra che, utilizzando i farmaci con attenzione e soprattutto facendo attenzione alla scelta dei farmaci (non i più potenti), l’insorgenza della tolleranza sia un fenomeno o poco evidente o molto lento. Salvo casi eccezionali, il problema della astinenza si pone invece solo per l'uso come droga, poiché, salvo errori come la somministrazione di un antagonista o un agonista parziale ad un soggetto che assuma alte dosi di morfina, questo fenomeno non si sviluppa durante una terapia cronica per il dolore, poichè l’oppiaceo non sarà mai interrotto.

Deve essere reso molto chiaro il concetto che, in ogni caso, la paura di tolleranza e dipendenza non devono trattenere dall’usare gli oppiacei quando questo sia necessario a fini terapeutici.

Gli oppiacei nel dolore non oncologico

Per quanto riguarda la terapia del dolore cronico o ricorrente non da cancro, le due patologie prevalenti sono il dolore artrosico/artritico ed il dolore neuropatico.

Se si avrà ulteriore conferma dell'effetto analgesico degli oppiacei somministrati localmente nel liquido sinoviale nelle patologie articolari, questo potrà sicuramente rappresentare un passo avanti nella terapia, permettendo una potente analgesia in assenza degli effetti centrali di questi farmaci e, data la selettività della membrana sinoviale e l'idrofilia della morfina, anche di quelli periferici, per lo scarso passaggio in circolo. Questo trattamento avrebbe anche altri vantaggi e cioè di evitare gli effetti collaterali dei FANS e, sfruttando l'effetto immunosoppressore di alcuni oppiacei, potrebbe anche interferire con il progredire delle patologie su base autoimmune.

Generalmente si accetta la affermazione che gli oppiacei non hanno nessun effetto nel dolore neuropatico, anche se sono aumentate le segnalazioni di effetti terapeutici con dosaggi più alti di quelli usati correntemente. Un farmaco oppiaceo che potrebbe essere efficace in questo tipo di dolore è il tramadolo, per il suo effetto di blocco della ricaptazione di serotonina e noradrenalina, come gli antidepressivi triciclici, tipicamente attivi in questo tipo di dolore.

Altri due oppiacei che potrebbero trovare impiego nel dolore neuropatico sono il metadone ed il destrometorfano che, come detto in precedenza, avrebbero la capacità di interagire con il recettore NMDA degli amminoacidi eccitatori.

Uso degli oppiacei in associazione

In terapia del dolore i farmaci oppiacei vengono spesso associati a farmaci che ne potenziano gli effetti analgesici o ne mitigano gli effetti collaterali.

Alla prima categoria appartengono i farmaci serotoninergici ed alcuni antidepressivi triciclici, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), gli steroidi, i bifosfonati e la gabapentina. Alla seconda classe appartengono soprattutto i neurolettici (che agiscono come antiemetici), i farmaci colinergici (per stimolare la motilità intestinale) e gli psicostimolanti (per controbattere la sedazione).

Gli antinfiammatori interferiscono positivamente sulla analgesia da oppiacei per il loro effetto antinfiammatorio e quello analgesico intrinseco, che sono ottenuti con meccanismi differenti da quello degli oppiacei. L’associazione dei due porta in generale anche ad una diminuzione degli effetti collaterali dei FANS richiedendone dosi minori. Le associazioni più comuni sono fra codeina o tramadolo con il paracetamolo. Gli steroidi sono spesso associati agli oppiacei nel dolore da cancro perché con il loro effetto antinfiammatorio ed antiedema contribuiscono alla diminuzione del dolore per un effetto meccanico di diminuzione della massa tumorale. I bifosfonati sono associati agli oppiacei in presenza di dolore da metastasi ossee, sul quale la morfina è inefficace. Una associazione di recente impiego è quella fra oppiacei e gabapentina, che pare avere la sua massima utilità ove sia presente un dolore di origine neuropatica.

 

Gli analgesici “periferici”

I FANS

I farmaci antiinfiammatori costituiscono una serie numerosa ed eterogenea di composti che in questi ultimi anni è cresciuta a dismisura. La manipolazione delle strutture chimiche, pur avendo determinato sorprendenti incrementi nella potenza e nella selettività, non ha inciso sostanzialmente sull’efficacia e non ha risolto del tutto i problemi di fondo connessi al trattamento.

Il meccanismo d'azione dei FANS coinvolge principalmente l'inibizione dell’enzima cicloossigenasi e quindi la generazione di prostaglandine.

La ricerca degli anni più recenti ha messo in evidenza l'esistenza di due isoforme della cicloossigenasi. La prima, costitutiva, (COX-1 ) presente nella maggior parte dei tessuti e deputata alla produzione fisiologica di prostaglandine; la seconda, in forma prevelentemente inducibile dalle citochine (COX-2), espressa soprattutto nei siti di infiammazione.

Le COX-1 sono state ritenute le responsabili della produzione di quelle prostaglandine gastriche e renali che hanno un importante effetto fisiologico di omeostasi in questi organi. Poichè le prostaglandine hanno un ruolo importante nel mantenimento della omeostasi gastrointestinale, non è una sorpresa che farmaci capaci di interferire con la loro sintesi (COX-1 o COX-1 e COX-2 inibitori) possano favorire l’induzione di erosioni gastriche, ulcera peptica, emorragia del tratto gastrointestinale superiore etc. Questi farmaci possono anche indurre gravi effetti a livello renale, dove le prostaglandine partecipano significativamente all'autoregolazione del flusso renale e pertanto il blocco della loro sintesi può danneggiare irreversibilmente la filtrazione glomerulare e causare scompenso renale acuto, edema, nefrite interstiziale, necrosi papillare, scompenso renale cronico e ipercalcemia.

Si pensava che gli inibitori selettivi di COX-2, agendo solo sull’enzima indotto nell’infiammazione, fossero esenti da questi effetti indesiderati.

Recentemente, studi nell’animale e nell’uomo hanno molto ridimensionato il profilo previsto per gli effetti collaterali degli inibitori di COX-2.

A differenza di quanto pensato in un primo tempo, si è infatti osservato che le COX-2 sono presenti in forma costitutiva sia a livello renale che gastrico. A livello gastrico COX-2 sono infatti importanti per i processi di riparazione della mucosa lesionata e sia nell’animale da esperimento sia nell’uomo il blocco della COX-2 rallenta significativamente la guarigione di lesioni gastriche ed intestinali. Questo dato ha un importante risvolto pratico. Se infatti è vero che la somministrazione di anti COX-2 ad un soggetto con mucosa gastrica intatta permette di ottenere un effetto antiinfiammatorio senza effetti gastrici, è altrettanto vero che se il farmaco è la somministrato a soggetti che già hanno una lesione gastrica, questa è destinata a peggiorare. Questo ultimo è il caso di molti soggetti che, avendo utilizzato talora anche per lunghi periodi (anni) i FANS anti COX-1, con le relative lesioni gastriche anche se subcliniche, vengono messi in terapia con i nuovi inibitori di COX-2.

A livello renale, si è osservato che anche la COX-2 è espressa costitutivamente e svolge un ruolo analogo a quello della COX-1. Di conseguenza, gli inibitori della COX-2 sono gravati degli stessi effetti avversi a livello renale che caratterizzano l’inibizione di COX-1. Questa osservazione, molto evidente negli studi nell’animale, è stata confermata recentemente nell’uomo, anche nei soggetti sani.

Da ultimo, gli inibitori di COX-2 sono gravati da effetti negativi sul sistema cardiovascolare. Se infatti l’inibizione di COX-1 esercita un effetto antiaggregante, gli inibitori di COX-2 non hanno questo effetto e si è osservato un aumento di incidenti ischemici nei soggetti che li assumono.


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Ultimo aggiornamento: Novembre 2001