INTEGRAZIONE DI SCIENZA, CLINICA E SANITA’

Nuova opportunità per la farmacologia clinica italiana?

 

Diventa sempre più impegnativo illustrare ai nuovi ricercatori quali siano i compiti di un farmacologo e le differenze tra i diversi settori della farmacologia.

Nella ricerca farmaceutica, tradizionalmente il farmacologo è il ricercatore che studia l’attività dei composti su modelli in vivo ed in vitro, mentre il farmacologo clinico studia generalmente gli effetti dei nuovi composti nel volontario sano o in popolazioni selezionate di pazienti. Il ricercatore che coordina sperimentazioni cliniche di solito non viene considerato o percepito come farmacologo, diversamente da quanto avviene in ambito accademico, dove nella definizione di farmacologia clinica rientrano tutte le diverse attività condotte sul soggetto umano, dal monitoraggio delle concentrazioni ematiche dei farmaci fino alla ricerca farmacoepidemiologica.

Questo scenario è destinato a cambiare rapidamente ed e in parte gia superato. Spinta dalla innovazione tecnologica e dalla evoluzione sanitaria, la farmacologia clinica è entrata in una fase di rapida, intensa e talora confusa trasformazione, che – incurante di distinzioni e definizioni – modificherà i tradizionali assetti, ruoli ed equilibri sui quali e vissuta per decenni.

Stanno cambiando rapidamente e radicalmente le modalità con le quali il farmaco viene scoperto, sviluppato, sperimentato, illustrato, prescritto, utilizzato, rimborsato e le ragioni di questo cambiamento vanno ricercate soprattutto nei nuovi orizzonti della scienza, della clinica e della sanità.

 

Scienza

 

La tecnologia informatica e le applicazioni della genomica hanno iniziato a rivoluzionare il processo di scoperta dei nuovi farmaci. Le cause principali del fallimento di molti progetti di drug discovery sono tuttora rappresentate dalla imprecisa selezione del target (e quindi i target molecolari non sono rilevanti per la malattia) o del composto candidato allo sviluppo (e quindi i composti che non hanno le proprietà per essere dei farmaci oppure che non rappresentano le molecole migliori).

Nel loro complesso, l’insieme dei farmaci attualmente in uso ed in corso di sviluppo interagisce con poco più di 500 target (enzimi, recettori, canali ionici ecc.); a seguito della conclusione del progetto Genoma Umano nel 2003 e dello sviluppo della genomica funzionale, tra dieci anni i target da selezionare per la scoperta di nuovi composti potranno essere oltre 18.000.

Nei prossimi decenni la conoscenza dei geni, della loro localizzazione, dei loro prodotti e delle modalità con cui interagiscono tra loro nel processo patologico rappresenterà probabilmente la principale, se non l’unica modalità di identificazione di nuovi target per la scoperta del farmaco.

Oltre alla possibilità di migliorare la selezione dei target, sta aumentando enormemente anche la capacità di sintetizzare nuove molecole e di testarle in modo rapido ed efficiente contro i diversi target. Rivoluzionando il vecchio paradigma di una molecola, un chimico, una settimana, la tecnologia ora consente ad un solo chimico che utilizza computer e robot, di sintetizzare centinaia di migliaia di nuove molecole, creando una diversità di composti impensabile fino a pochi anni fa.

Per valutare in modo efficiente questo enorme numero di nuove molecole, sono stati sviluppati e sono già in uso sistemi di high throughput screening ed altri metodi predittivi che permettono di rilevare eventuali interazioni dei composti in screening con i target in esame oppure di generare, utilizzando un solo animale, dati di farmacocinetica su 100 molecole in un solo giorno, migliorando sensibilmente la resa rispetto al passato, quando per ottenere dati su un solo composto erano necessari sei animali ed una settimana di lavoro.

Rispetto alla farmacologia tradizionale, che operava in laboratorio con test in vitro ed in vivo, siamo già entrati in quella che taluni hanno definito farmacologia di terza generazione o in silico, che vede nella tecnologia ed in particolare nella genomica e nella bioinformatica i principali strumenti di lavoro del farmacologo [1].

 

Tabella 1. Anni per arrivare all’80% delle applicazioni commerciali derivanti dalle nuove tecnologie di ricerca e sviluppo dei farmaci  

 

Chimica combinatoriale

Ultra High Throughput Screening

Genomica

Bio-informatica

Farmacogenomica

Virtual Drug Discovery

Terapia Genica

2

4

5-7

3

7-8

7-9

10-15

(Morgan Stanley Dean Witter, 1998)

 

 

Clinica

 

Il significato di farmacologo clinico varia a seconda dei contesti ai quali viene riferito e nella ricerca dell’industria farmaceutica, indica l’esperto della valutazione dei nuovi composti sperimentali nel soggetto umano, sano o paziente, nelle fasi iniziali di sviluppo clinico, della loro cinetica e dello studio del meccanismo d’azione mediante modelli sperimentali sul soggetto umano.

La valutazione iniziale dei nuovi composti nel corso delle prime somministrazioni a soggetti umani è una attività che in Italia rischia di diventare un ricordo più che una esigenza professionale. Nel nostro paese infatti una limitata capacità di scoperta di nuovi farmaci ed una serie di difficoltà normative hanno in pratica limitato il ruolo della farmacologia clinica ad occasionali studi di bioequivalenza e biodisponibilità. Difficoltà ancora maggiori sembrano interessare lo studio dei meccanismi d’azione in modelli sperimentali su volontari sani e pazienti: assimilato nella nostra normativa alla prima somministrazione di un nuovo composto, rischia di essere escluso da reali possibilità applicative.

La farmacologia clinica e (o almeno, dovrebbe essere) la piattaforma metodologica di tutta la sperimentazione clinica, indipendentemente dalla area terapeutica di interesse. II DM 18 marzo 1998 sulla composizione dei Comitati Etici ha almeno in parte ripreso questo concetto, riconoscendo al farmacologo il compito di garanzia metodologica della sperimentazione clinica.

Il contributo del farmacologo alla sperimentazione clinica ed al suo sviluppo in Italia è rimasto tuttavia modesto, se non trascurabile.

La gestione delle procedure di autorizzazione, sia a livello centrale che locale, ha emarginato fino a non molti mesi fa il nostro paese dallo sviluppo internazionale dei nuovi farmaci: sono state purtroppo ben poche le iniziative tese a segnalarne le conseguenze per la ricerca italiana, per modificare la situazione nei tempi più rapidi possibili e per evidenziare il ruolo della sperimentazione clinica del farmaco nello sviluppo del sistema di ricerca nazionale.

Risolta l’emergenza con i decreti del 1998, sono riemersi i problemi che ostacolano il reale sviluppo della ricerca clinica farmacologica nel nostro paese ed in particolare l’impossibilita di realizzare ricerca clinica per le patologie gestite sul territorio e la difficoltà, quasi impossibilità, di proseguire lo sviluppo del farmaco dopo la sua commercializzazione, nella fase 4.

In Italia l’accesso alla sperimentazione clinica è limitato esclusivamente ai pazienti degenti in strutture ospedaliere oppure assistiti presso gli ambulatori divisionali. Ciò esclude una rilevante proporzione di cittadini dalla possibilità di partecipare alla sperimentazione clinica di farmaci per patologie di rilevante interesse e limita la rappresentatività di altre patologie che vengono trattare in ambiente ospedaliero.

Farmaci antivirali per il trattamento della influenza o della varicella, farmaci per il trattamento della sindrome del colon irritabile – solo per citare alcuni dei problemi di salute che non hanno ancora trovato una adeguata soluzione terapeutica – possono essere sperimentati in modo efficiente solo negli ambulatori dove il paziente si reca per ricevere assistenza e terapia. Ad esclusione di Italia, Panama, Taiwan, Corea del Sud e pochissimi altri paesi, in tutto il resto del mondo la collaborazione tra farmacologia (che assicura le necessarie competenze di metodologia e la formazione specifica), medicina specialistica universitaria od ospedaliera (che fornisce le competenze per standardizzare le diagnosi o le valutazioni delle risposte terapeutiche) e medicina del territorio (medicina generale e pediatria di libera scelta) consente di sviluppare la maggior parte dei farmaci che poi saranno utilizzati nella pratica assistenziale [2].

Come conseguenza di questa situazione, il numero di pazienti potenzialmente eleggibili per la sperimentazione clinica di molte malattie croniche risulta in Italia alquanto limitato e quindi il contributo italiano allo sviluppo clinico internazionale dei nuovi farmaci è inferiore a quello di paesi come Olanda, Svezia, Spagna, paesi con popolazioni di gran lunga inferiori.

Questi limiti regolatori e normativi appariranno ancora più evidenti ed acuti quando le applicazioni della genomica avranno rivoluzionato le modalità di sviluppo clinico e di utilizzo del farmaco, ovvero con lo sviluppo della farmacogenomica.

La maggior parte dei farmaci sottoposti a sperimentazione clinica presenta percentuali di risultati positivi limitati al 50%-60%, in quanto solo una parte dei pazienti è realmente appropriata per il farmaco oggetto della sperimentazione, mentre gli altri – anche se appaiono simili per quanto riguarda il fenotipo – non sono idonei dal punto di vista del genotipo.

Gli attuali criteri di inclusione ed esclusione per la selezione dei pazienti nella sperimentazione clinica (criteri di inclusione ed esclusione) considerano infatti solo il fenotipo del paziente: sono tuttavia sempre più numerose le sperimentazioni cliniche nelle quali viene praticata la tipizzazione genetica per poter identificare i geni correlati con la predisposizione alla malattia, la risposta terapeutica, le eventuali reazioni avverse e le caratteristiche cinetiche dei nuovi farmaci.

Disponendo dell’informazione sul genotipo del paziente e sulla risposta terapeutica del farmaco (o di farmaci con simile meccanismo di azione) nella popolazione di pazienti genotipicamente omogenea, risulterà assai più facile selezionare i pazienti per la sperimentazione clinica e ridurre il numero necessario per provare le ipotesi sperimentali, con evidenti implicazioni sui tempi di sviluppo, sui costi e sulla qualità dello sviluppo.

La rilevanza delle informazioni acquisite attraverso la farmacogenomica va ben oltre l’ambito della sperimentazione clinica: la possibilità di prescrivere il giusto farmaco per il giusto paziente, sulla base del genotipo, permetterà di ottimizzare la risposta terapeutica, limitando il trattamento ai solo pazienti idonei, di prevenire eventuali reazioni avverse e nel complesso di migliorare l’efficienza del processo assistenziale [3].

 

 

Figura 1. Relazione tra genotipo CEPT (cholesteryl ester transfer protein), progressione della aterosclerosi (misurata mediante riduzione del diametro coronarico) ed efficacia della terapia con pravastatina (da Kuivenhoven et al., 1998, New Vngl. J. Med 338 86-93).

 

 

Sanità

 

In tutto il mondo occidentale l’evoluzione della sanità interessa tutti i settori della società e rappresenta uno dei principali argomenti nelle agende politiche ed istituzionali. Proprio in questi giorni sono in corso dibattiti nel Regno Unito [4] sulla istituzione del National Institute of Clinical Excellence (NICE), una istituzione attivata dall’aprile del 1999 per fornire indicazioni sulla effectiveness e sulla convenienza economica delle tecnologie sanitarie (la cui direzione e stata peraltro affidata ad un farmacologo clinico, Michael Rawlins) ed in Italia sul nuovo decreto legislativo sulla razionalizzazione del servizio sanitario.

Molte delle terapie di maggiore e documentata efficacia attualmente disponibili sono basate sul farmaco, che consente di realizzare interventi sanitari di importanza primaria per la soluzione dei problemi di salute.

E’ pertanto del tutto comprensibile che molti degli interventi sulla sanità interessino anche il farmaco. Come in altri settori, è importante che le decisioni siano prese sulla base di informazioni e che la valutazione della qualità, della efficacia e della appropriatezza degli interventi avvenga sulla base di prove documentate.

La ricerca sul farmaco, inteso quale tecnologia sanitaria, rappresenta un aspetto primario della ricerca sanitaria e la farmacoepidemiologia rappresenta una piattaforma metodologica fondamentale per la realizzazione di progetti che misurino i bisogni di assistenza sanitaria delle popolazioni e valutino la qualità della assistenza erogata [5].

A parte alcune eccezioni, frutto più di iniziative personali ed occasionali di alcuni centri di eccellenza che di una volontà programmata e coordinata, la farmacologia è rimasta sostanzialmente ai margini della ricerca sanitaria. La documentazione sul valore del farmaco richiede l’integrazione di informazioni di farmacologia preclinica e clinica con informazioni farmacoepidemiologiche e sanitarie e la rilevanza di queste ultime diventa sempre più importante per le decisioni sul rimborso del farmaco, sulla inclusione nei prontuari terapeutici, sulla appropriatezza dei processi prescrittivi, per la definizione di linee guida e percorsi terapeutici.

Il dibattito sull’informazione sul farmaco, attualmente in corso sia in ambito internazionale [6] che nazionale, interessa il ruolo del paziente quale soggetto attivo nella decisione terapeutica, l’utilizzo di nuove modalità di comunicazione quali il Direct-to-Customer, autorizzato dalla FDA nel 1997 e di nuovi supporti tecnologici, l’ambito di intervento e di controllo delle autorità regolatorie. Questo dibattito ha finora visto un intervento sostanzialmente marginale della farmacologia italiana, che al contrario può avere un ruolo primario nell’uso razionale dei farmaci e nell’educazione della classe medica per l’ottimale utilizzazione dei farmaci.

 

Conclusioni

 

Scienza, clinica e sanità rappresentano tre nodi di un flusso continuo ed ideale di dati, informazioni e conoscenze sul farmaco, nel quale la scienza interagisce con la clinica, la clinica con la sanità e questa ultima con entrambe.

Dove si colloca la farmacologia italiana, intesa nel senso più ampio di patrimonio collettivo di conoscenze di quanti ricercano, sviluppano e studiano il farmaco? Probabilmente non esiste una sola risposta e le risposte possono variare a seconda della prospettiva di valutazione. Tuttavia, se si considera quanto è stato sopra sottolineato, sembra che molti dei grandi temi che interessano scienza, clinica, sanità e quindi ricerca, sviluppo ed impiego del farmaco, siano oggi trattati in Italia senza un contributo significativo della farmacologia clinica italiana.

Esistono diversi progetti, taluni di notevole rilevanza ed interesse, ma si tratta di iniziative di singoli farmacologi più che della farmacologia.

Vi sono oggi opportunità e possibilità perché la farmacologia possa sviluppare il proprio ruolo ed intervenire in settori fino ad oggi scarsamente presidiati.

I nuovi scenari della scienza, della clinica e della sanità offrono alla farmacologia clinica italiana uno spettro di potenziali attività, iniziative e progetti senza precedenti, ma richiede un adeguamento delle proprie conoscenze e dei propri metodi di lavoro altrettanto impegnativo ed una volontà organizzativa che tenda a superare i limiti delle definizioni e delle differenze per essere in grado di presidiare fenomeni in rapida e continua evoluzione.

Come ogni medaglia, questi scenari contengono anche rischi, il primo dei quali è il rischio di obsolescenza, di compiere attività ormai largamente superate dalla innovazione tecnologica e scientifica che ha investito la ricerca sul farmaco.

Il secondo rischio, altrettanto reale, riguarda la competizione: se la farmacologia non entra in modo deciso e con competenza in questi nuovi settori della scienza e soprattutto della clinica e della sanità, altri vi entreranno e ne gestiranno attività e contenuti. Le modalità per cogliere queste opportunità riguardano aspetti di tipo metodologico ed organizzativo; c’è un solo problema: il tempo. Evoluzioni, rivoluzioni e cambiamenti progrediscono con il proprio passo. Poche settimane fa, in un auditorium desolatamente deserto, veniva presentato il rapporto su Ricerca e Sviluppo ed industria farmaceutica italiana: le sfide per il futuro, le cui conclusioni riassumono in modo esemplare l’intero problema:

 

La storia recente dell’Italia è purtroppo ricca di sconfitte nelle sfide competitive globali. Solo se si abbandona un approccio individualistico e si incomincia a ragionare in termini di progetti congiunti si può  vincere la sfida. Ma i margini di manovra per quanto riguarda il tempo sono molto serrati.

Subito ed insieme sono le parole chiave per vincere questa sfida.

 

                                         Giuseppe Recchia

                                        Direttore Medico

                                        Glaxo Wellcome

 

  1. Ricerca e Sviluppo ed industria farmaceutica italiana: le sfide per il futuro, Centro Studi e Ricerche di Economia Sanitria, Gemini Consulting, 1999.

  2. Panorama della Sanità, 1999.

  3. MH Richmond. The implications of genetics and genomics for healthcare and the pharmaceutical industry. University College London, London 1999.

  4. M Rawlins. National Health Service: in pursuit of quality, the National Institute of Clinical Excellence. Lancet 1999; 353: 1079-82.

  5. ASL, distretto, medico di base: logiche e strumenti manageriali. A cura di F Longo, EGFA Edizioni Giuridiche Economi- che Aziendali dell’Università Bocconi, Milano 1999.

  6. 6. DTC JAMA 1999.

 

SOMMARIO